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Ciao boemo

Zeman

Roma-Cagliari è il capolinea per Zeman, la sua avventura giallorossa finisce qui. E forse non solo, vista la sua età avanzata, anche se il boemo solo 7 mesi fa guidava uno spettacolare Pescara in serie A.

All’andata era stato 3/0 a tavolino per la Roma, a causa di una follia di Cellino (forse ancora in discussione di fronte a qualche Tribunale, e quindi potenzialmente revocabile, questo aspetto non è molto chiaro); la Roma chiese l’applicazione del regolamento ed il conseguente 3/0, ottenendolo fra gli insulti del presidente del Cagliari: oggi finisce 4/2, e forse qualcuno dirà perfino che il gol di Marquinho nei minuti di recupero salva la differenza reti nello scontro diretto…

Ma è l’avventura di Zeman sulla panchina giallorossa che finisce poche ore dopo, esonerato da una dirigenza ormai odiata dalla tifoseria, con l’accusa (assurda, pesantissima) di essere tutta laziale: visto che Lotito è tacciato di essere romanista, potremmo anche pensare ad un cambio alla pari.

Il boemo si era riavvicinato alla Roma con grande entusiasmo, tanto che ad inizio stagione molti tifosi parlavano addirittura di scudetto, più o meno apertamente. La piazza, che ben ne conosceva pregi e difetti, sembrava averlo accolto bene, con gli abbonamenti aumentati del 41%; i giocatori, Totti in testa, sembravano entusiasti.

E invece sono bastate 23 partite di campionato (1 nemmeno disputata), 49 gol fatti e 42 subiti – 9 sconfitte, per esonerarlo, più o meno a furor di popolo, anche se molti continuano ad essere zemaniani, ormai più per partito preso che per estrema convinzione. Una difesa spesso imbarazzante, un portiere uruguayano pescato chissà dove e messo fra i pali al posto del titolare olandese, un centrocampo in difficoltà nelle due fasi col problema di De Rossi a mezzo servizio, un attacco che nonostante il buon numero di reti segnate ha messo in mostra carenze di cinismo e continuità. Se ne va nonostante una finale di Coppa Italia da conquistare, e chissà che anche su questo particolare il Cagliari non abbia contato, non essendosi giocata la semifinale di ritorno in settimana proprio per l’opposizione di Cellino. Pensare che proprio in Coppa Italia, a Firenze, Zeman per la prima volta in vita sua aveva cambiato modulo, giocando con 3-5-2, e non col solito 4-3-3 immutabile (con la Lazio, in 2 anni e mezzo, lo mise da parte in un secondo tempo a Torino con la Juve, tramutandolo in 4-4-2: la Lazio, salvata da un monumentale Marchegiani, vinse 3/0 quella partita). Sembrava l’inizio di una svolta epocale, e invece si è proseguito col modulo base, e con caterve di gol prese, praticamente 2 di media a partita.

Zeman se ne va, accompagnato dall’insoddisfazione dei tifosi che lo avevano acclamato quest’estate, ma anche della dirigenza che lo aveva scelto, scontenta non solo dei risultati ma anche del fatto che il boemo ormai di fronte ai giornalisti divaghi su qualsiasi argomento senza parlare di calcio, oltre che di alcune scelte tecniche opinabili. Paga anche una squadra che da tre anni non si ritrova e cambia tecnico ogni anno, accumulando delusioni in serie, forse per aspettative troppo alte, forse per un ambiente impossibile, forse per una società ancora alla ricerca della quadratura del cerchio. O forse per uno spogliatoio, quello di Trigoria, ingovernabile.

Paradossalmente questa è anche la sconfitta di Totti: lui era il cocco di Zeman, il miglior giocatore che il boemo avesse mai allenato (ipse dixit), ma non è riuscito da capitano a difenderlo, dall’ambiente e dai suoi compagni, nonostante una personale stagione molto positiva fin qui. Segno che il Pupone nello spogliatoio è un’entità a se stante, forse periferica, non ascoltata nemmeno in società.

Forse Zeman lascia oggi il calcio, forse solo il grande calcio, e per lui già dall’anno prossimo ci sarà una ripartenza in qualche piccola società, per lanciare altri talenti, cosa che predilige. Pur avendo lui nel cuore la Roma di Totti, Cafu e Tommasi, la sua squadra migliore (oltre al Foggia dei miracoli, ma a livelli più bassi) è la Lazio di Signori Fuser e Casiraghi, che per un paio d’anni giocò calcio ad alti livelli, pagando anche lì una difesa debole in alcuni uomini, e gli scarsi cambi a centrocampo.

Rimane comunque la sua idea di calcio, un 4-3-3 spettacolare con la quale non ha mai vinto nulla, se non delle Promozioni in serie A con squadre di provincia (e grandi calciatori in erba, che si sono enormemente giovati dei suoi insegnamenti), e caterve di gol segnati, anche da giocatori mediocri.

Un’idea amata da molti, ma che dopo il boemo sarà difficile trovare riproposta da altri, se non in rare occasioni. E suona paradossale, in effetti, che l’unico nella storia del calcio italiano a vincere uno scudetto con il 4-3-3 sia stato Marcello Lippi alla guida della Juve di Vialli e Ravanelli, ovvero i nemici giurati di Zeman.

Io credo che questo di Zeman sia un arrivederci, non un addio: troverà ancora una panchina sulla quale insegnare calcio a modo suo, con i suoi pregi e i suoi difetti, la sigaretta in bocca e le sua frasi smozzicate. Ma è un arrivederci per molti al calcio dei sogni: da domani diversi si risveglieranno capelliani per sempre, indietro non si torna.

“Purtroppo, nel calcio di oggi, conta solo il risultato e nessuno pensa più a far divertire la gente. Non ha più importanza se il pubblico va allo stadio, o da un’altra parte” (Z.Z): ciao boemo. Buona fortuna.

@aletozzi

London calling – day 14

Non possiamo sperare che la vicenda Schwarzer finisca. Possiamo solo sperare che se ne parli un po’ meno grazie a qualche medaglia d’oro degli azzurri. È arrivato il momento dei tornei di squadra, che rimangono fra le medaglie più belle delle Olimpiadi, quelle che oltretutto definiscono davvero un movimento rilevante. L’Italia al femminile è uscita ai quarti nella pallanuoto (ci stava), e nel volley (molto meno, eravamo decisamente favorite contro la Corea del Sud); le due compagini di beach volley sono uscite ai quarti, le donne contro le campionesse Usa che poi hanno rivinto, gli uomini contro una coppia di olandesi ex campioni olimpici di volley.

In alcuni sport non siamo mai pervenuti (non so quali risultati possa vantare la nazionale italiana di pallamano, per non parlare dell’hockey su prato), nel calcio non ci siamo qualificati, ci rimangono volley e pallanuoto maschile. Oggi, a rasserenare il clima pestilenziale della conferenza del nostro marciatore, ci hanno salvato loro.

Il volley ha battuto in tre set, tutto sommato anche senza soffrire troppo, i campioni olimpici statunitensi, che avevano vinto il girone: non grandi individualità, ma ottima compagine. L’Italia, dopo un girone balbettante, ha fatto una grande partita ed è passata. Sul 23 pari del primo set, l’arbitro ha considerato buona una battuta americana fuori di 30 cm. In altre occasioni saremmo usciti di testa e di partita, in questa siamo rimasti lì, e abbiamo fatto la nostra partita. La nazionale di volley è guidata da Mauro Berruto, ex allenatore della Finlandia, uno che ha come frase esistenziale una di Coelho “bisogna rischiare. Capiremo perfettamente il miracolo della vita quando permetteremo all’inaspettato di accadere”. Uno che ha scritto 2 libri di sport sotto forma di romanzi e non come libri tecnici, e che sul suo sito personale mette Oceano Mare di Baricco come il libro della vita. Uno che ai cambi di campo non parla quasi mai di tattica. Insomma, uno diverso: non so dove ci porterà questo mister, ma sicuramente ha un approccio diverso con il volley e con la vita.

La pallanuoto ha battuto i tricampeon olimpici ungheresi dopo una bella partita, sofferta al punto giusto, ma sempre comandata. In nazionale abbiamo un cubano naturalizzato, un ex australiano, un ex croato e uno nato a Budapest. Nel volley i due schiacciatori sono Lasko, polacco naturalizzato, e Zaytsev, figlio di due atleti russi che si sono trovati a giocare, e poi vivere, in Italia. L’allenatore è Sandro Campagna, grande giocatore, che ha allenato anche la Grecia. Vedere Scariolo allenare la Spagna di basket, Damilano la marcia cinese, Messina e Pianigiani due delle più grandi squadre del mondo nel basket. Capello, Lippi, Mancini, Ancellotti, Spalletti e tutti gli altri nel calcio, fa pensare che la scuola italiana è ormai parte di un tutto, pur mantenendo le sue prerogative nei singoli sport. Sentire Zaytsev che parla umbro stretto, e nella panchina bulgara un allenatore pugliese che insulta i giocatori in italiano, fa quasi pensare che il concetto di nazione da tifare sia venuto meno. Non è così. Ed anzi, le medaglie negli sport di squadra sono le più belle, che vengono dopo partite combattute che durano 2 ore, e magari non dopo una prova agli anelli che dura 1 minuto (con tutto il rispetto per gli anelli). E speriamo di vincere anche le due semifinali, sarebbe un bel risultato per il nostro sport, soprattutto per il nuoto, tanto vituperato in queste Olimpiadi.

Oggi mi ha colpito un servizio Rai, di passaggio fra una partita e l’altra. C’era la Cagnotto sul trampolino, i suoi tuffi, le sue lacrime, e immagini di bambina che si mischiavano a quelle di adulta, sempre abbracciata e consolata dal padre, con in sottofondo la canzone La Cura di Battiato. Non si poteva non commuoversi. Esattamente come alla conferenza stampa di Schwarzer, alle sue lacrime a dirotto pensando alla madre che doveva aprire la porta a quelli del Coni, e lui che dentro di se voleva urlarle che non c’era per evitare il controllo, ma poi non ce l’ha fatta, bloccato dai mostri che aveva dentro. Siccome, come detto, coltivo una passione smodata per i perdenti, queste Olimpiadi sono della Cagnotto, della Ferrari, della Pellegrini e di Schwarzer. Ognuno perdente a modo suo. Ognuno vincente a modo suo. Figli diversi di quella strana nazione che è l’Italia. Lacrima. Bandiera sullo sfondo. Dissolvenza.

@aletozzi

Diamo a Cesare almeno qualcosa

Due parole su Claudio Prandelli dopo questo Europeo bisogna spenderle.

Non è entrato nel breve elenco di CT azzurri che hanno vinto Mondiali o Europei: Pozzo, Valcareggi, Bearzot e Lippi. Ha eguagliato Sacchi e Zoff, anche loro arrivati in finale al primo tentativo (Sacchi poi continuò, senza risultati; Zoff si dimise per una frase di Berlusconi sulla mancata marcatura di Zidane, che non aveva toccato palla, in finale: come se Monti l’altra sera l’avesse cazziato in diretta tv per non aver messo Giovinco).

Compirà 55 anni ad Agosto. Possiamo dire sia non più un giovanotto, considerando che in serie A più vecchi di lui ne troviamo 4: Zeman, Ventura, Sannino (per 3 mesi) e Guidolin.
Molta gavetta nella sua carriera, partendo dall’Atalanta, dove aveva finito come calciatore, dopo parecchi anni di panchina alla Juve. Lecce, Verona, Venezia (un esonero di Zamparini non si nega a nessuno) poi il salto col Parma, dove fa molto bene, lanciando Adriano nel grande calcio. Un mese alla Roma del post-Capello, lasciata per la malattia della moglie, poi sbarca a Firenze, dove rimane 5 anni, con ottimi risultati. Approda alla Nazionale del post Mondiale sudafricano, il peggiore della nostra storia, chiuso senza vittorie, nonostante un girone facilissimo. Non trova grandi fuoriclasse, tranne nei rispettivi ruoli Buffon, Pirlo e De Rossi. Attorno comprimari, anche di qualità come Marchisio, Chiellini, Barzagli: il blocco Juventus, specialmente dopo lo scudetto del 2012, la fa da padrone. In attacco vengono meno Gilardino (il suo pupillo), Giuseppe Rossi, Pazzini, Borriello, con Cassano in dubbio fino all’ultimo per un problema al cuore. Cassano che Lippi aveva tenuto fuori nei suoi 2 Mondiali. Alla fine se lo porta, e si porta anche Balotelli, con diversi problemi durante l’annata, fregandosene del codice etico (codice che non applica nemmeno nei confronti della nuova fidanzata, che ha il piercing al naso). Quindici giorni prima dell’Europeo scoppia anche Calciopoli 2, la vendetta. Mauri era rimasto fuori dalle ultime scelte, ma Criscito è implicato, e così Bonucci. Lascia a casa solo il primo. Una volta partiti, scoppia anche la grana delle scommesse di Buffon. Girone non facile, lo passiamo grazie al mancato biscotto fra Spagna e Croazia (sono certo che in quel momento gli spagnoli si mangiarono le mani). Buona partita contro l’Inghilterra, vinta ai rigori, ottima contro la Germania, battuta in maniera più ampia di quanto non dica il 2/1 finale. In finale ci trita la Spagna di Del Bosque, che ha solo 7 anni più di lui, ma sembra suo nonno, e che ha ottenuto la doppietta personale Mondiale-Europeo, mai accaduta a nessuno in carriera. La sua idea di gioco è il 4-4-2 di qualità, nel senso che pretende che tutti partecipino alla manovra, terzini compresi. Si porta nella spedizione anche Maggio e Balzaretti, suoi ex giocatori, che aveva lasciato partire.

Da allenatore, ad oggi, ha vinto solo un Torneo di Viareggio nel 1993 con l’Atalanta, la squadra di Morfeo e Tacchinardi. Poi un campionato di B con il Verona, e niente più. La finale dell’Europeo non è un trofeo, ma è comunque il risultato più importante ottenuto in carriera, senza dubbio. Ha detto che rimarrà, la sfida dei Mondiali brasiliani è troppo ghiotta per essere persa. Forza Cesare. Ti aspettiamo a Rio.

@aletozzi