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Italia-Spagna e la profezia navajo

Domenica 1 luglio, ore 8:25. L’Arizona è un posto meraviglioso con un unico grande difetto. Si trova a migliaia di chilometri dall’Europa, dall’Italia e da Kiev.
Nel cuore della nazione navajo, attorniato da cactus e rocce infuocate (il termometro segna già trenta gradi) vivo le ore che mi separano dall’inizio della finale con finta indifferenza. Chi mi sta intorno non capirebbe. Provate voi a spiegare a un indiano cos’è una partita di calcio e chi è Balotelli. Il loro unico scopo in quel momento è rifilarmi qualche collanina o un paio di mocassini. Mi faccio infinocchiare con un cattura sogni (hai visto mai dovesse funzionare).
Ore 10:30. Manca poco più di un ora. Già penso alla strada che mi separa dal motel più vicino. Qualche miglia e anche io potrò scendere in campo. La temperatura sale (siamo a trentacinque gradi), c’è più sabbia rossa nelle mie scarpe che sul centrale del Roland Garros.

A qualche metro dalla jeep monster che mi porterà al motel vengo intercettato da una guida navajo. Mi guarda, mi sorride e commenta simpaticamente la mia tshirt. Sto al gioco e le spiego che si tratta di una maglietta propiziatoria. Tra poco la mia tribù combatterà contro i conquistadores spagnoli per interrompere la loro supremazia calcistica. Lei mi guarda e scuote la testa. “Brutta gente quella” mi dice. “Lo so” replico. Data la momentanea e comune antipatia per gli ispanici, azzardo e le chiedo un pronostico. “Guarda il cielo” risponde. “Ok, fatto, ma non vedo il risultato” ribatto. “Guarda il cielo” ribadisce. Poi mi congeda con un “Ciao Italia, ciao bello, buona pizza, mamma mia!”.
Ore 11:45. Calcio d’inizio. Mi trovo sulla jeep, l’immancabile giapponese di turno continua a fotografare ogni cespuglio o sasso che incontriamo (e non sono pochi). Io continuo a guardare il cielo cercando di interpretare le parole della guida. È decisamente azzurro, anche se ci sono delle nuvole. Pensandoci bene il suo non era un pronostico ma una profezia. Ancora poco e capirò.
Ore 12:15. Arrivo al motel. Senza dare nell’occhio mi dirigo immediatamente verso il bar per cercare un televisore. “Ma va a fanculo!!!!” cantava Piero Ciampi e gli italiani presenti in coro. Spagna-Italia 1-0. Non mi ci vuole molto per capire che non stiamo vedendo la palla. Mi ci vuole ancor meno per capire che assistere alla fine della partita al bar, tra incompetenti a stelle e strisce e simpatizzanti spagnoli, sarebbe una vera impresa.
Ore 13:00. La Spagna segna il secondo gol e io scelgo l’opzione camera solitaria, hamburger, coca cola e patatine. Nell’intervallo della partita vedo il faccione ripulito di Alexi Lalas, ormai commentatore per ESPN, sconsolato dalla nostra pochezza e pronto a celebrare il successo spagnolo. Alexi “vecchio scarpone” come ti cantavano i tifosi del Padova, dov’è finito l’uomo rock che una volta dichiarò in conferenza stampa “io pensi che il signor Zeman è un vaffanculi”. Almeno tu dammi una speranza.
Ore 13:20. Inizia il secondo tempo. Ovvero, una lunga agonia. Nonostante tutto non riesco a staccarmi dallo schermo. Morso dopo morso, patatina dopo patatina, arrivo al triplice fischio. Almeno questa volta non c’è nulla su cui recriminare. Ha vinto il più forte. Volendo trovare il pelo nell’uovo, gli iberici potevano fermarsi dopo il terzo gol. Infierire su un avversario bollito e in inferiorità numerica non è stato elegante. Alla prossima…
Ore 15:00 Il pomeriggio è appena iniziato e per tirare su il morale opto per una gita a Lake Powell. Uscito dalla camera, incrocio dopo pochi passi tre ragazzini tedeschi in canotta, bermuda e birkenstock, rossi come peperoni, bruciati dal sole dell’Arizona. Mimano la “posa Balotelli”. Forse hanno preso troppo sole. Da quello che intuisco in Germania l’Hulk bresciano va di gran moda. Valli a capire…

Ore 17:30. Lake Powell. Affacciato al parapetto di un battello fluviale, mi godo il sole e l’aria fresca del pomeriggio. Un altro tedesco, mi sorride con aria beffarda. “Ahi, ahi, Italia”. Lo guardo, ricambio il sorriso. Poi fotografo le sue calzature. Ecco perché non ci batterete mai.

@lg.fiore

Diamo a Cesare almeno qualcosa

Due parole su Claudio Prandelli dopo questo Europeo bisogna spenderle.

Non è entrato nel breve elenco di CT azzurri che hanno vinto Mondiali o Europei: Pozzo, Valcareggi, Bearzot e Lippi. Ha eguagliato Sacchi e Zoff, anche loro arrivati in finale al primo tentativo (Sacchi poi continuò, senza risultati; Zoff si dimise per una frase di Berlusconi sulla mancata marcatura di Zidane, che non aveva toccato palla, in finale: come se Monti l’altra sera l’avesse cazziato in diretta tv per non aver messo Giovinco).

Compirà 55 anni ad Agosto. Possiamo dire sia non più un giovanotto, considerando che in serie A più vecchi di lui ne troviamo 4: Zeman, Ventura, Sannino (per 3 mesi) e Guidolin.
Molta gavetta nella sua carriera, partendo dall’Atalanta, dove aveva finito come calciatore, dopo parecchi anni di panchina alla Juve. Lecce, Verona, Venezia (un esonero di Zamparini non si nega a nessuno) poi il salto col Parma, dove fa molto bene, lanciando Adriano nel grande calcio. Un mese alla Roma del post-Capello, lasciata per la malattia della moglie, poi sbarca a Firenze, dove rimane 5 anni, con ottimi risultati. Approda alla Nazionale del post Mondiale sudafricano, il peggiore della nostra storia, chiuso senza vittorie, nonostante un girone facilissimo. Non trova grandi fuoriclasse, tranne nei rispettivi ruoli Buffon, Pirlo e De Rossi. Attorno comprimari, anche di qualità come Marchisio, Chiellini, Barzagli: il blocco Juventus, specialmente dopo lo scudetto del 2012, la fa da padrone. In attacco vengono meno Gilardino (il suo pupillo), Giuseppe Rossi, Pazzini, Borriello, con Cassano in dubbio fino all’ultimo per un problema al cuore. Cassano che Lippi aveva tenuto fuori nei suoi 2 Mondiali. Alla fine se lo porta, e si porta anche Balotelli, con diversi problemi durante l’annata, fregandosene del codice etico (codice che non applica nemmeno nei confronti della nuova fidanzata, che ha il piercing al naso). Quindici giorni prima dell’Europeo scoppia anche Calciopoli 2, la vendetta. Mauri era rimasto fuori dalle ultime scelte, ma Criscito è implicato, e così Bonucci. Lascia a casa solo il primo. Una volta partiti, scoppia anche la grana delle scommesse di Buffon. Girone non facile, lo passiamo grazie al mancato biscotto fra Spagna e Croazia (sono certo che in quel momento gli spagnoli si mangiarono le mani). Buona partita contro l’Inghilterra, vinta ai rigori, ottima contro la Germania, battuta in maniera più ampia di quanto non dica il 2/1 finale. In finale ci trita la Spagna di Del Bosque, che ha solo 7 anni più di lui, ma sembra suo nonno, e che ha ottenuto la doppietta personale Mondiale-Europeo, mai accaduta a nessuno in carriera. La sua idea di gioco è il 4-4-2 di qualità, nel senso che pretende che tutti partecipino alla manovra, terzini compresi. Si porta nella spedizione anche Maggio e Balzaretti, suoi ex giocatori, che aveva lasciato partire.

Da allenatore, ad oggi, ha vinto solo un Torneo di Viareggio nel 1993 con l’Atalanta, la squadra di Morfeo e Tacchinardi. Poi un campionato di B con il Verona, e niente più. La finale dell’Europeo non è un trofeo, ma è comunque il risultato più importante ottenuto in carriera, senza dubbio. Ha detto che rimarrà, la sfida dei Mondiali brasiliani è troppo ghiotta per essere persa. Forza Cesare. Ti aspettiamo a Rio.

@aletozzi

Super Mario

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Non riesco a trovare un giocatore simile a Mario Balotelli. Non è una prima punta, non è una seconda punta, né un trequartista. Ma segna da prima punta, corre da seconda punta e fa assist da trequartista. Quando vuole…

Mentre dopo la doppietta di ieri pensavo a un giocatore con le sue caratteristiche nella storia del calcio italiano (non l’ho trovato, comunque), ho cominciato a canticchiare dal nulla la canzone di Dalla “Nuvolari”, che fa così: “Nuvolari è bruno di colore, Nuvolari ha la maschera tagliente; Nuvolari ha la bocca sempre chiusa, di morire non gli importa niente; Corre se piove, corre dentro al sole; Tre più tre per lui fa sempre sette; Con l’alfa rossa fa quello che vuole dentro al fuoco di cento saette!”

C’è dentro Balotelli, almeno in parte. Perché nemmeno Balotelli ha capito ancora bene chi è, dove può arrivare. Dove vuole arrivare, forse. Balotelli è quello odiato in tutti gli stadi del mondo, a volte anche dai suoi stessi tifosi. È quello cui la curva lancia le banane, oppure gli urla ridendo “se saltelli muore Balotelli”, o gli dedica striscioni irriverenti. È quello preso a calci da dietro in una finale di Coppa Italia per dargli una lezione (da che pulpito, da che pulpito…). È quello che zittisce una curva che gli fa buh dopo un gol, e l’opinione pubblica gli dà addosso perchè non si fa, non ci si può abbassare al livello dei tifosi. È quello che nemmeno i compagni di squadra riescono a capire, per quanto è lunatico (Maradona, ad esempio, i suoi compagni lo amavano tutti alla follia). È quello che non esulta, mai, dopo un gol, e una volta che lo fa ne parla tutto il mondo. È lo sciupafemmine inseguito dai paparazzi, cui fornisce sempre un titolo a effetto, che poi va a baciare la mamma dopo la doppietta alla Germania, anche quello è un titolo a effetto.

Balotelli è Super Mario, da sempre. Il ragazzo ghanese abbandonato in un ospedale, e poi adottato da una famiglia bresciana. È il calcio di domani, è la società di domani, è il domani. Lasciatelo giocare in pace. Almeno fino a domenica…

@aletozzi